Sabato 9 Marzo 2024 dalle ore 10 alle ore 12 si è tenuto in rete il Convegno organizzato da AMICA APS L’alimentazione per le malattie da ipersensibilità (CFS, IBS, FM, MCS). AMICA promuove la ricerca scientifica e la divulgazione sul rapporto tra salute e ambiente ed è particolarmente impegnata nel riconoscimento dei diritti civili delle persone con disabilità ambientale, come la Sensibilità Chimica Multipla e l’Ipersensibilità Elettromagnetica. Sul sito ci sono molte informazioni: www.infoamica.it 

Sensibilità Chimica Multipla

In seno al Convegno Alimentazione per le Malattie da Ipersensibilità la dott.ssa Maria Stella Cacciola, biologa nutrizionista, ha tenuto una relazione dal titolo “Il ruolo dell’alimentazione nelle malattie croniche multifattoriali. Differenza tra Celiachia e Gluten Sensitivity” che di seguito pubblico come estratto di un volume disponibile contattando AMICA che contiene gli atti del Convegno.

Non possiamo parlare di Celiachia o di Sensibilità al Glutine Non Celiaca (NCGS) senza considerare che queste condizioni si incrocino tra loro e con tante altre patologie. Se possiamo dire che la Celiachia ha caratteristiche chiare e ben valutabili non altrettanto si può dire ancora oggi, a distanza di 10 anni dalla sua scoperta, della Sensibilità al Glutine Non Celiaca e ciononostante sappiamo che influisce sull’andamento di molte patologie specialmente quelle Autoimmuni ed in particolare Tiroidite di Hashimoto, Sensibilità Chimica Multipla (MCS), Fibromialgia, Psoriasi e Artrite Reumatoide ma anche molte altre.

In passato si credeva che il paziente celiaco fosse un bambino magro, di conseguenza i medici andavano a ricercare la celiachia soltanto nei bambini sottopeso, con difficoltà di crescita e con problemi di malassorbimento. Oggi questo concetto è cambiato perché si è visto che in alcuni pazienti celiaci i sintomi compaiono in età adulta e molto spesso sono anche obesi, individuando anche correlazioni metaboliche importanti.

La Celiachia è un’intolleranza permanente al glutine e, una volta diagnosticata, il paziente è obbligato a seguire una dieta di esclusione del glutine per tutta la vita. Si tratta di una malattia autoimmune e spesso il paziente celiaco soffre anche di tiroidite di Hashimoto. In generale sarebbe opportuno valutare la celiachia in tutti i pazienti con patologie immunitarie, come la psoriasi e l’artrite reumatoide. È vero anche il contrario, ossia che nel paziente celiaco si possono sviluppare queste patologie, nel corso del tempo, anche nei pazienti che da lungo tempo seguono la dieta aglutinata. Questo spiega perché, talvolta, non basta escludere il glutine per ottenere la remissione della patologia, ma a volte c’è solo la remissione dei sintomi.

La percentuale di popolazione colpita dalla celiachia è dell’1%. È apparentemente una percentuale molto bassa, ma si ipotizza che sia almeno il doppio, fino al 2-3%. In tutti i casi l’assunzione di glutine nel celiaco provoca un’alterazione dei villi nel duodeno.

Si arriva alla diagnosi di celiachia con una ricerca degli anticorpi: anti-gliadina (IgA-IgG), anti-transglutaminasi (tTGA), anti peptidi deaminati della gliadina (Anti-DGP), anti-endomisio (EMA), anti-digiuno. È importante anche la diagnosi genetica per ricerca degli alleli HLA DQ2/DQ8, poiché non è ci può essere celiachia senza un’alterazione dell’HLA.

Il DQ2, infatti, è presente nel 90% dei pazienti (ma anche nel 25-30% degli individui sani), correlato con DR3 (cis) o DR5/DR7 (trans). Il DQ8, invece, è presente nel 9% circa dei pazienti, in associazione con il DR4. Nel rimanente 0.5-1% dei pazienti si riscontra la presenza isolata di DQA1*0501 o DQB1*0201. Tuttavia, la certezza della diagnosi si raggiunge solo con il prelievo bioptico dei villi del duodeno.

 

 

Il glutine è contenuto in cereali quali frumento (grano), avena, orzo, farro, kamut, segale, bulgur, cous-cous, frik (grano egiziano), spelta, triticale, ma anche in altri alimenti può essere trovato come contaminante o come elemento non principale come nel caso dei mix di farine di cereali, la fecola, il semolino, i fiocchi di cereali, lo yogurt al malto (poiché deriva dalla fermentazione della cariosside del grano), il cioccolato con cereali, la birra, i caffè solubili o i surrogati del caffè contenenti orzo, i piatti pronti come pesce surgelato precotto, il lievito madre (perché fatto, quasi sempre, con farina di grano), la polenta taragna (perché è farina di grano saraceno miscelata spesso con farina di grano), gli alimenti che vengono infarinati nella preparazione come frutta disidratata (perché viene spolverata con la farina e lo zucchero) o patatine prefritte.

Gli alimenti consentiti nel regime senza glutine sono: riso, mais, patate, castagne, legumi, frutta fresca, frutta oleosa con guscio, verdure e ortaggi, olio, burro, aceto, lievito di birra fresco o liofilizzato, zucchero, miele, carne, prosciutto crudo (bisogna comunque porre attenzione agli insaccati perché spesso viene utilizzato il glutine come addensante), pesce, uova, latte, formaggi freschi o stagionati italiani, bevande gassate e frizzanti, tè, camomilla, vino bianco e rosso, caffè, caffè decaffeinato in grani e in polvere. Oltre a questi ce ne sono anche molti altri non di origine mediterranea, come la quinoa ed il teff.

Per quanto riguarda, invece, la Sensibilità al Glutine non Celiaca (SGNC), nel febbraio del 2011, a Londra, si è tenuta una Consensus Conference, cioè una conferenza a livello internazionale dove erano presenti tutti gli studiosi ed i professori che lavoravano in vari centri sulla celiachia del mondo. Durante questo importante incontro fu presentato per la prima volta uno studio, frutto della collaborazione tra il Prof. Fasano dell’Università di Baltimora, italoamericano, e la Prof.ssa Sapone dell’Università di Napoli. In questo studio si affermava l’esistenza della Sensibilità al Glutine Non Celiaca.

Qualche anno più tardi, nel 2014, durante un congresso internazionale di gastroenterologia tenutosi a Salerno, furono stabiliti i criteri per la diagnosi di questa patologia, chiamati “Criteri di Salerno”. In realtà la sensibilità al glutine non celiaca non è diagnosticabile né con i test né con sistemi ultramoderni, ma si avvale di una valutazione clinica; si va ad osservare se queste persone hanno dei sintomi che possono essere tipici della celiachia ma dopo un attento iter diagnostico vengono esclusi dalla diagnosi di celiachia. Possiamo quindi dire che la diagnosi di (NCGS) avviene per esclusione.

A questi pazienti viene consigliato di mangiare glutine liberamente almeno per 6 settimane, poi gli viene consigliata una dieta senza glutine per altre 6 settimane e, infine, viene reintrodotto il glutine con moderazione. In questo periodo viene valutato l’andamento dei sintomi prima, durante e dopo l’intervento nutrizionale. Si può affermare che il paziente ha la sensibilità al glutine non celiaca quando, a seguito della reintroduzione del glutine, si osservava la ricomparsa di tutti i disturbi che erano scomparsi durante la dieta senza glutine.

Ancora non è stato ben chiarito se questi soggetti non celiaci, ma con sensibilità, debbano seguire la dieta aglutinata per tutta la vita ma, recentemente, si è visto che questa problematica è più complessa di quanto si pensava all’inizio perché è legata non soltanto al glutine e alla sua esclusione, ma alla metabolizzazione degli alimenti.

L’insorgenza della sensibilità al glutine è collegata all’aumento della permeabilità intestinale, alla disbiosi e, di conseguenza, all’infiammazione dell’intestino che poi diventa sistemica. In realtà sappiamo che il Microbiota, che è un complesso sistema di batteri, virus, lieviti, funghi,  si trova non solo nell’intestino anche se la conoscenza della composizione di quello intestinale si sta rivelando fondamentale per la comprensione delle dinamiche di esordio ed aggravamento di moltissime patologie. Questi organismi producono delle sostanze importantissime per la sopravvivenza dell’organismo, infatti si è visto negli studi sui topi che, distruggendo completamente il loro Microbiota intestinale, le cavie non sopravvivevano ma anche i trapianti di Microbiota rivelano importanti variazioni e non solo nei topi.

La ricerca sull’Uomo ha visto la correlazione sempre maggiore tra patologie e alcune alterazioni specifiche della composizione del Microbiota e questo può essere considerato senza timore di errore il futuro della ricerca in ambito PsicoNeuroEndocrinoImmunologico (PNEI)

Lo studio dal titolo “A New Proposal for the Pathogenic Mechanism of Non-Coeliac/Non-Allergic Gluten/Wheat Sensitivity: Piecing Together the Puzzle of Recent Scientific Evidence” (Leccioli et al, 2017) suggerisce che ci sia una correlazione tra il Microbiota e la sensibilità al glutine, la disbiosi intestinale e l’infiammazione cronica.

In particolare lo studio propone di approfondire il rapporto tra i livelli di Firmicutes e di Bifidobacteria per scoprire i meccanismi della disbiosi intestinale, e anche suggerisce di indagare il ruolo di IAP e butirrato e i livelli di permeabilità della barriera intestinale, che è considerato un fattore predisponente per queste patologie intestinali.

Potrebbe inoltre essere importante arrivare a un trattamento differente, non basato solo su una misura di restrizione nutrizionale, ma su una di implementazione, ad esempio con assunzione di probiotici.

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https://dottoressacacciola.com/sono-celiaco-o-non-lo-sono/

 

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